sabato 31 luglio 2010
martedì 27 luglio 2010
EMOTIVAMENTE AFFAMATA
sabato 24 luglio 2010
mercoledì 21 luglio 2010
lunedì 19 luglio 2010
venerdì 16 luglio 2010
INRIVERENCE
mercoledì 14 luglio 2010
TIME AFTER TIME
SELFPORTRAIT
Svuotata da qualsiasi voglia, galleggio nell'aria che non c'è.
Nella penombra della sera galleggio.
Non mi resta altro che il vuoto di me stessa.
-----------------------------------
Caught up in circles, confusion is nothing new
flash back warm night, almost left behind
suitcase of memories...
Svuotata da qualsiasi voglia, galleggio nell'aria che non c'è.
Nella penombra della sera galleggio.
Non mi resta altro che il vuoto di me stessa.
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Caught up in circles, confusion is nothing new
flash back warm night, almost left behind
suitcase of memories...
sabato 10 luglio 2010
THINKING OF YOU
Sto pensando a te
mentre cammino, mentre parlo, mentre rido, mentre respiro.
Sto pensando a te
mentre mi sveglio, quando corro tutto il giorno.
Sto pensando a te
mentre mi spoglio di ogni orgoglio mentre guardo il mio destino.
Sto pensando a te
quando ricordo mentre ancora sento il tuo profumo
Cosa faresti al posto mio
se ogni pensiero
se ogni pensiero fossi IO?
Cosa faresti tu?
Cosa faresti tu?
giovedì 8 luglio 2010
IDENTITA' DIFFUSE
TESTO CRITICO A CURA DI S.G. - FemminArt Review
MARLA LOMBARDO | SELFPORTRAIT
Soggetto senziente, Marla Lombardo, nel rapporto con la propria figurazione fisica, somatica, antropomorfa. Elegantemente perduta nel simbolo di ciò che, se mostrato, in genere perde efficacia e peso storico. Marla, nelle esternazioni trasposte del proprio io cangiante, proferisce l’idioma del corpo parlato, ovvero espresso nella sua vetusta giovinezza, che è poi quella del mondo, e nella sua antica nobiltà. Non si fa riferimento alcuno alla nobiltà di facciata, o di esposizione, bensì al rango di chi sa interpretare innanzitutto il proprio contorno, la scorza primordiale, la silhouette della negazione sedotta alla propria contraddizione, bassa manovra sagacemente rispedita al mittente.
Corpo e luogo. Sovente Marla coadiuva l’azione riflessiva delle sue sembianze con un luogo volutamente provvisorio, quasi fosse ininfluente il qui e ora, ma importante il porvisi come cuneo dissacrante, che s’insinua fra le ironie cercate e quelle rappresentate. Come dire che Marla è perfettamente conscia, nel suo sembrare, della vacuità della propria icona, sovrastante energia di fuoco pulsante, ma che, come tante, come tutte, una volta messa in scena si autoelide nell’esercizio sterile che in genere ne risulta, quello di porre limite al proprio limite, talora magnificandolo. Quando il personale viene esposto in maniera sistematica alla routine dei mezzi di ripresa, siano essi statici o dinamici, l’insieme delle matrici della rappresentazione implode in un continuo contraltare fra l’estasi spontanea e la consacrazione pratica della circostanza.
E’ ciò che non accade a Marla per via della sostenuta carnalità dell’intenzione, che finisce per epurare il sogno stesso delle manipolazioni del contingente, quando un corpo viene definito femminile, per esempio, o quando il corpo femminile esprime solamente femminilità, isolandosi dal contesto come un’anima ibernata. Nel nostro caso la carnalità, intesa come espressione solida dell’etereo, è vivace esattamente nella esecrazione del limite, non perché avulso, ma in quanto lasciato, depositato al suo fluire come un fiume deviato che cerca comunque la sua via di fuga, naturale.
Non c’è posa, nelle auto referenze di Marla, soprattutto non c’è costruzione dell’idolo della mancanza, quella che recita l’abbandono di sé ad un auto convincimento. Anche la fototessera è un rimpiattino continuo con le proprie identità diffuse, viepiù il compito di esternare il proprio linguaggio di valorizzazione continua della presenza, quella che la passerella della storia solitamente ignora, non perché poco significante, bensì ininfluente. Gli animali non si guardano allo specchio, e l’essere umano si affanna a descrivere questo innato istinto primario proprio specchiandosi, o facendo sì che altri si specchino nella altrui e nella propria immagine riflessa, ritenute comunque deformate indipendentemente dalla convessione.
Marla si libra invece autenticamente nella rassegna dei propri istanti fugaci, senza ironie strumentali, tipiche di chi apparentemente ridicolizza il proprio stato per averne un riconoscimento formale a posteriori. Accende le pulsioni che le immagini dell’io devono suscitare, mantenendosene però sempre a debita distanza, accorgimento che le permette di respirare, traspirare, con impercettibili movimenti sottopelle che in genere vengono interdetti ai figurinisti di maniera. Quando i bambini si perdono amorevolmente nell’inventario delle smorfie, compiono un’operazione analoga, non ironica in quanto tale, o peggio satirica, ma nell’annoverare le infinite possibilità appannaggio non solo del corpo come essenza legata alla terra, ma della mimica ancestrale che la volitività di ogni azione, anche quella quotidiana, richiede. La mutevolezza fisiognomica che fa da sponda all’irrinunciabile anelito dell’uomo a vedere, e farsi vedere, per rappresentare un ideogramma qualsiasi, purchè compiuto.
In definitiva Marla Lombardo dà fiato all’indistinto ogni qual volta cerca di limitarsi ad una sola posa, o all’insieme di movimenti plastici o casuali che ne generano di nuove, per fare da stimolo, e questo è il suo messaggio portato, a chi si chiede costantemente, nelle diverse situazioni, se sta bene o male in rapporto ad un contesto che è sempre puramente ipotetico. Marla rifonda il contesto, ancorandolo all’umanità effervescente di chi, anche con l’oscuramento della propria riflettenza, riesce a sondare le dimensioni multiple di sé e dell’ignoto.
S.G. – FemminArt Review
MARLA LOMBARDO | SELFPORTRAIT
Soggetto senziente, Marla Lombardo, nel rapporto con la propria figurazione fisica, somatica, antropomorfa. Elegantemente perduta nel simbolo di ciò che, se mostrato, in genere perde efficacia e peso storico. Marla, nelle esternazioni trasposte del proprio io cangiante, proferisce l’idioma del corpo parlato, ovvero espresso nella sua vetusta giovinezza, che è poi quella del mondo, e nella sua antica nobiltà. Non si fa riferimento alcuno alla nobiltà di facciata, o di esposizione, bensì al rango di chi sa interpretare innanzitutto il proprio contorno, la scorza primordiale, la silhouette della negazione sedotta alla propria contraddizione, bassa manovra sagacemente rispedita al mittente.
Corpo e luogo. Sovente Marla coadiuva l’azione riflessiva delle sue sembianze con un luogo volutamente provvisorio, quasi fosse ininfluente il qui e ora, ma importante il porvisi come cuneo dissacrante, che s’insinua fra le ironie cercate e quelle rappresentate. Come dire che Marla è perfettamente conscia, nel suo sembrare, della vacuità della propria icona, sovrastante energia di fuoco pulsante, ma che, come tante, come tutte, una volta messa in scena si autoelide nell’esercizio sterile che in genere ne risulta, quello di porre limite al proprio limite, talora magnificandolo. Quando il personale viene esposto in maniera sistematica alla routine dei mezzi di ripresa, siano essi statici o dinamici, l’insieme delle matrici della rappresentazione implode in un continuo contraltare fra l’estasi spontanea e la consacrazione pratica della circostanza.
E’ ciò che non accade a Marla per via della sostenuta carnalità dell’intenzione, che finisce per epurare il sogno stesso delle manipolazioni del contingente, quando un corpo viene definito femminile, per esempio, o quando il corpo femminile esprime solamente femminilità, isolandosi dal contesto come un’anima ibernata. Nel nostro caso la carnalità, intesa come espressione solida dell’etereo, è vivace esattamente nella esecrazione del limite, non perché avulso, ma in quanto lasciato, depositato al suo fluire come un fiume deviato che cerca comunque la sua via di fuga, naturale.
Non c’è posa, nelle auto referenze di Marla, soprattutto non c’è costruzione dell’idolo della mancanza, quella che recita l’abbandono di sé ad un auto convincimento. Anche la fototessera è un rimpiattino continuo con le proprie identità diffuse, viepiù il compito di esternare il proprio linguaggio di valorizzazione continua della presenza, quella che la passerella della storia solitamente ignora, non perché poco significante, bensì ininfluente. Gli animali non si guardano allo specchio, e l’essere umano si affanna a descrivere questo innato istinto primario proprio specchiandosi, o facendo sì che altri si specchino nella altrui e nella propria immagine riflessa, ritenute comunque deformate indipendentemente dalla convessione.
Marla si libra invece autenticamente nella rassegna dei propri istanti fugaci, senza ironie strumentali, tipiche di chi apparentemente ridicolizza il proprio stato per averne un riconoscimento formale a posteriori. Accende le pulsioni che le immagini dell’io devono suscitare, mantenendosene però sempre a debita distanza, accorgimento che le permette di respirare, traspirare, con impercettibili movimenti sottopelle che in genere vengono interdetti ai figurinisti di maniera. Quando i bambini si perdono amorevolmente nell’inventario delle smorfie, compiono un’operazione analoga, non ironica in quanto tale, o peggio satirica, ma nell’annoverare le infinite possibilità appannaggio non solo del corpo come essenza legata alla terra, ma della mimica ancestrale che la volitività di ogni azione, anche quella quotidiana, richiede. La mutevolezza fisiognomica che fa da sponda all’irrinunciabile anelito dell’uomo a vedere, e farsi vedere, per rappresentare un ideogramma qualsiasi, purchè compiuto.
In definitiva Marla Lombardo dà fiato all’indistinto ogni qual volta cerca di limitarsi ad una sola posa, o all’insieme di movimenti plastici o casuali che ne generano di nuove, per fare da stimolo, e questo è il suo messaggio portato, a chi si chiede costantemente, nelle diverse situazioni, se sta bene o male in rapporto ad un contesto che è sempre puramente ipotetico. Marla rifonda il contesto, ancorandolo all’umanità effervescente di chi, anche con l’oscuramento della propria riflettenza, riesce a sondare le dimensioni multiple di sé e dell’ignoto.
S.G. – FemminArt Review
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